Le politiche monetarie espansive creano bolle speculative?
Una delle frasi che più sentiamo dire nell’industria della gestione di portafoglio oggigiorno è “we are late in the cycle”, il ciclo economico sta finendo. Per capire che significa e contestualizzarlo in un contesto economico ci ispireremo ad un capitolo del libro di Ray Dalio: “Big Debt Crisis”, adattandolo all’evidenza dei dati empirici del mercato US.
Il grafico sotto rappresenta l’andamento di un tipico debt-cycle di lungo termine, la linea blu e quella rossa rappresentano rispettivamente il debito totale come percentuale del GDP e il cosidetto debt service, l’ammontare (sempre in percentuale del GDP) che andranno ad essere estinti nei seguenti 12 mesi.
La prima parte del ciclo
Nella prima fase del ciclo il debito cresce sostanzialmente, ma meno che proporzionalmente rispetto alla crescita del GDP, è considerata la parte “buona” del ciclo. I tassi calano e Il debito viene utilizzato per finanziare attività che producono una crescita rapida (ad esempio espandere business e aumentare l’efficienza produttiva). In questa fase i bilanci sono ancora “puliti” e il livello di debito è sostenibile, c’è ampio spazio per il settore privato, governi e banche per indebitarsi, vi è crescita economica e la crescita del debito e l’inflazione sono sotto controllo, nel gergo tale fase è chiamata la “Goldilocks Economy”.
La bolla
In questa fase del mercato il debito cresce più velocemente del GDP, questa parte è accompagnata da un aumento generale delle valutazioni delle attività finanziarie, i tassi scendono e convergono al tasso neutrale e rendono tutte le classi di investimento (come l’azionario o l’immobiliare) più attraenti in termini di valutazione, generando un “wealth-effect” positivo. Questo ciclo di lungo termine può andare avanti per decenni. La ragione per tali cicli cui possono durare per così tanto tempo è che la banca centrale progressivamente abbassa i tassi, il che rende più alto il valore degli asset e, di conseguenza, la ricchezza delle persone. Questo previene un aumento del “debt burden” e degli spread applicati per ottenere credito.
L’aumento dei profitti corporate, delle valutazioni degli asset aumenta le valutazioni e le capacità delle imprese di prendere a prestito più denaro. Questo processo si auto-alimenta, nel senso che un aumento generale della ricchezza e delle valutazioni crea un “wealth effect” positivo aumentando la capacità degli operatori nel mercato di prendere a prestito denaro. Questo avviene perché la capacità di prendere a prestito denaro è determinata dalla proiezione dei ricavi futuri, dal valore delle garanzie (che in questo stadio cresce) e dalla capacità del sistema di prestare denaro.
Un esempio sono le azioni: l’aumento generale delle azioni porta le persone a sentirsi più ricche e ad una maggior spesa e maggiori investimenti, che aumentano gli utili delle aziende, che aumentano il prezzo delle azioni, che diminuiscono i credit spread e incoraggiano ancora più debito (a causa di maggiori utili e un aumento del valore delle azioni usato come garanzia per richiedere credito). Questo processo di aumento delle valutazioni azionarie è sospinto anche nel mercato dalla cosiddetta FOMO (“Fear Of Missing Out”) momento in cui nessun operatore del mercato vuole rimanere escluso dall’aumento dei prezzi delle azioni.
Secondo Dalio siamo alla fine di un ciclo di lungo termine, egli porta ad evidenza i tassi di interesse, che dopo essere arrivati al limite di zero hanno subito un processo di rialzo dalla banca centrale. A supporto di questa tesi è innegabile vedere come le politiche monetarie espansive ai governi abbiano perso forza nella generazione del GDP.
L’aumento del debito è per diversi economisti e operatori di mercato ‘l’elefante nella stanza’ (quella cosa di cui tutti sanno ma di cui nessuno parla). Il grado di leva finanziaria di fine ciclo ha raggiunto livelli preoccupanti non solo a livello corporate ma anche personale (infatti se si sommano i prestiti agli studenti e per le auto, le carte di credito, le linee di credito e i mutui siamo a circa 13 trilioni, il massimo storico).
Le società hanno tratto vantaggio dai dai tassi bassi: il debito corporate in relazione al GDP ha raggiunto massimi storici, superando addirittura il picco del 2009.
Importante notare non solo che il debito corporate è aumentato, ma anche la qualità media del credito è deteriorata. Una decade di tassi pressoché azzerati ha portato ad un boom da parte degli investitori dei cosiddetti TINA Trades (“There is No Alternative”), dove gli investitori pur di portare a casa un seppur minimo rendimento positivo sono stati “costretti” a spostare la propria asset allocation verso obbligazioni più rischiose rispetto ai governativi. Tale boom ha gonfiato sostanzialmente il mercato della parte meno sicura del credito: ad oggi più del 50% del debito investment grade (ovvero il comparto più sicuro) è nel livello più rischioso BBB, circa un terzo del debito corporate in essere appartiene alla categoria High Yield o Leveraged Loan (la parte più rischiosa in assoluto del credito).
I 4 trilioni di Quantitative Easing iniettati dalla Fed hanno fatto sì che una grossa parte di questa accumulazione di debito ha formato la base per l’ondata di buybacks che ha coinvolto il mercato azionario statunitense negli ultimi anni i spingendo in alto le valutazioni azionarie (il rally di inizio anno dell’azionario è spiegato in larga parte dai buybacks).
Chi gestisce questa asset class deve tenere gli occhi aperti nella selezione titoli, in caso di recessione potrebbe esserci una ondata di “fallen angels” (cioè i bond che vengono declassati da investment grade a high yield). Questo accumulo di debito coinvolge principalmente le società di piccole dimensioni negli Stati Uniti, le small-cap hanno un grado di leva di circa x1,75 rispetto alle società dell’S&P500. A seguito dell’inversione della curva di marzo e una potenziale recessione nel 2020 potrebbe essere saggio per un investitore privato affidarsi ad un gestore attivo nelle asset class del credito US e delle small cap US.
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