Deglobalizzazione o nuova globalizzazione? L'economia del futuro
"L'incontro di quest'anno si svolge nella situazione geopolitica e geoeconomica più complessa degli ultimi decenni", ha detto il presidente del WEF (World Economic Forum) Borge Brende nel corso del meeting annuale di Davos appena conclusosi.
Dalla fine della guerra fredda e soprattutto con l’ingresso della Cina nella WTO (World Trade Organization), si era registrata una tendenza sempre più forte verso la globalizzazione, spintasi sino al punto in cui chiunque può ottenere tutto al prezzo più basso e nel minor tempo possibile. Una globalizzazione favorita non solo dalla facilitazione politica degli scambi fisici di beni tra le nazioni, ma anche dalla creazione di una piattaforma tecnologica globale che ha consentito la connessione in tempo reale tra tutti i cittadini del mondo. Le economie dei diversi paesi sono quindi diventate sempre più interconnesse, si sono sviluppate, ma spesso in modo tale da non essere in grado di sussistere autonomamente.
Nel tempo sono poi emerse pesanti conseguenze negative di questo fenomeno, come l’aumento del divario tra ricchi e poveri (l’incremento della percentuale di ricchezza detenuta nelle mani di pochi), lo sfruttamento della manodopera nei paesi più poveri, la riduzione delle tutele dei lavoratori e l’incremento dei danni ambientali spesso irreversibili. Si sono inoltre sviluppate enormi multinazionali capaci di trasportare merci in ogni angolo del mondo e che talvolta sono diventate più potenti dei governi.
Tutto ciò ha generato sempre più malcontento, soprattutto nella fascia economicamente più debole della popolazione mondiale, e ha provocato il riemergere di ideologie populiste e nazionaliste oltre che vere e proprie rivolte popolari (ad es. i gilet gialli francesi).
Diversi paesi (più di 30 negli ultimi due anni) hanno quindi iniziato a difendere le proprie risorse e la propria popolazione attraverso l’introduzione di controlli alle esportazioni, soprattutto di prodotti agricoli, e il sostegno delle industrie locali.
Poi sono arrivati il Covid e la guerra in Ucraina (espressione quest’ultima proprio del ritorno al nazionalismo); eventi catastrofici che hanno definitivamente sovvertito un trend che già si era indebolito, mettendo in discussione la visione del WEF riguardo all’ordine economico mondiale e creando enormi problemi ai paesi importatori, non solo di petrolio, ma anche di grano.
Importazioni ed esportazioni nette di grano nel mondo
Fonte: FAO. Le aree chiare rappresentano i paesi esportatori netti di frumento, quelle scure i paesi importatori netti
Qualora non dovesse riprendere il trasporto di grano dall’Ucraina, diversi paesi dell’Africa si troveranno ad affrontare una forte crisi alimentare ed è possibile che questo determini una nuova ondata di flussi migratori in Europa. La concentrazione di materie prime minerarie in alcune aree del mondo è fonte di ulteriori problemi.
Fonte: Fitch Solutions
A questo si aggiunga che Australia, Cile e Cina insieme estraggono il 90% del litio prodotto al mondo e la Russia il 44% del palladio. Si comprende quindi che anche il processo di transizione energetica globale è legato a equilibri geopolitici estremamente delicati, che avranno conseguenze non solo economiche, ma anche sulle strategie imprenditoriali, in quanto la percezione del rischio ad operare globalmente è radicalmente cambiata.
Anche il WEF non è pronto a trovare una soluzione. A Davos i membri del Forum si sono limitati ad approfondire quattro possibili scenari futuri, nella consapevolezza di non essere in grado di indirizzarne la realizzazione, ma eventualmente di attutire gli effetti negativi di ciascun scenario e di ampliare quelli positivi.
Sono stati presi in considerazione due parametri che influiscono sulla globalizzazione: quello fisico e quello virtuale/tecnologico. Le spinte nazionaliste potranno contemplare entrambi o uno solo di essi. Ci muoveremo in un mondo unito da internet, ma con barriere fisiche oppure, una volta finita la guerra e superato il Covid, torneremo ad una globalizzazione totale, ma più consapevole? Oppure ci saranno aree geografiche aperte allo scambio commerciale e alcuni paesi invece chiusi al resto del mondo?
La certezza è che ci si sta muovendo verso una maggiore diversificazione della provenienza delle fonti ed un maggior sfruttamento dei prodotti agricoli, energetici e minerari del proprio paese, con l’inevitabile conseguenza di un maggior costo dei beni, ma di maggior attenzione all’ambiente.
Che cosa traiamo da queste considerazioni ai fini di un corretto investimento dei nostri risparmi?
- Prima o poi il mondo troverà una nuova stabilità economica globale: i mercati in questo momento stanno scontando tutte le incertezze sopra descritte, ma appena uno degli elementi che generano preoccupazione si risolverà, le borse si riprenderanno in maniera rapida e, come sempre, in anticipo rispetto all’economia reale. Quindi non ci dobbiamo far prendere dallo sconforto, ma semmai approfittare per comprare gradualmente a prezzi più contenuti;
- L’inflazione che sembrava estinta è ritornata prepotentemente a influenzare i mercati obbligazionari ed azionari e, dati i presupposti sopra descritti, sarà difficile che a breve svanisca nuovamente. La repentina discesa dei prezzi delle obbligazioni ha fatto sì che tornasse ad emergere il rendimento che era stato a lungo negativo. Quindi iniziano a presentarsi opportunità di entrata su questo segmento;
- L’asset class delle materie prime continua a rimanere molto interessante.
Ultimo consiglio, ma non meno importante, soprattutto nei momenti più delicati è fondamentale affidare i propri risparmi ad un investitore professionale ed esperto, come Euclidea, che li monitori costantemente alla luce della volatilità che regna in questo periodo. Leggi qui quali sono stati gli ultimi aggiustamenti di portafoglio di Euclidea.