Turchia, cosa c’è ancora da sapere sul crollo della lira
La Turchia ha un grande potenziale. Una demografia interessante e un posizionamento geografico invidiabile. Istanbul, la capitale economica, ha distretti moderni ed ha visto crescere negli ultimi 10 anni quasi 70 grattacieli alti oltre 100 metri. Il settore immobiliare però, che rappresenta oltre il 20 per cento del prodotto interno lordo, è emblematico della crisi e, già da due anni, si trova in forte difficoltà. Tutti i progetti più importanti sono stati finanziati in valuta forte (euro o dollari) e, naturalmente, il costo del debito è aumentato con la svalutazione della Lira. A ciò si aggiunge una grande dipendenza dalle importazioni di materiale da costruzione, acciaio in particolare, di cui la Turchia è il nono importatore al mondo. Molti cantieri sono stati fermati e quelli completati non hanno visto l’interesse che ci si attendeva dagli investitori, soprattutto quelli del Golfo Arabico.
Uno sguardo al passato per capire il presente
I problemi della Turchia non sono tuttavia così recenti come la crisi diplomatica scatenata dal caso della detenzione del pastore americano Andrew Brunson. Nei suoi 16 anni di potere il presidente Recep Tayyip Erdogan ha costantemente indebolito le istituzioni, concentrato il potere nelle proprie mani e messo in discussione l’applicazione della legge. Prima ha minato l’indipendenza dell’esercito, da sempre un contrappeso al potere politico, poi della Banca Centrale e, infine, ha consegnato il Ministero dell’Economia al proprio genero dopo essere stato dal 2009 nelle mani di un ex banchiere della Merrill Lynch, fonte di rassicurazione per i mercati internazionali.
Erdogan e il suo governo hanno man mano ridotto la disciplina fiscale e, nonostante il Paese abbia raggiunto buoni livelli di crescita (escluso il periodo del 2007-8) il debito è stato utilizzato principalmente nel settore delle costruzioni e in quello dei consumi che hanno, a loro volta, causato inflazione ed un forte deficit verso l’estero che va necessariamente finanziato con valuta forte.
Ciò rende la Turchia particolarmente esposta al influsso di denaro dall’esterno e fa sì che la situazione sia profondamente instabile.
La stretta monetaria della Banca Centrale USA non ha fatto altro che mettere in evidenza le problematiche che erano comunque presenti da anni. Una dinamica, questa, che ha interessato anche altri mercati emergenti, ma non tutti.
Quale sarà il futuro della Turchia e dei Paesi emergenti?
Se la situazione della Turchia possa volgere al meglio è difficile a dirsi, ma non bisogna attribuire le difficoltà attuali a cause contingenti, bisognerebbe ricercarne l’origine in fenomeni che si sono sviluppati nel tempo.
I mercati emergenti sono eterogenei e non è possibile accomunare la Turchia ad altri paesi che hanno condizioni del tutto diverse. Ci sono casi patologici, come quelli dell’Argentina, Ucraina e Venezuela ma ci sono anche molti paesi emergenti che hanno situazioni migliori e, in alcuni casi, incoraggianti.
E' chiaro che il solo fatto che i Paesi Emergenti siano rappresentati come un unicum, fa sì che siano soggetti ad un rischio di contagio. D'altronde l'investitore che vuole limitare l'esposizione alla Turchia, lo fa quasi sempre vendendo un fondo o un ETF generalista sui Paesi Emergenti.
Qual è la posizione di Euclidea?
Per Euclidea vale sempre lo stesso principio, ampia diversificazione e bassa dipendenza dei portafogli da pochi fattori. I Paesi Emergenti, con tutti i distinguo del caso, rimangono strategicamente una posizione interessante nei portafogli.