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Intervista - MiFID2 e robo advisory: quale il futuro del risparmio gestito?

SR_Patrimoni

Il 2018 ha visto l'entrata in vigore di MiFID2, una normativa che mira a valorizzare la trasparenza e obbliga quindi gli intermediari finanziari a esplicitare tutti i costi che interessano il cliente. Quello della trasparenza è un valore che sta impattando, nella finanza, anche grazie all'avvento del fintech e dei modelli di robo advisory. Ma cosa significa tutto questo per il mondo finanziario? Quali saranno le ripercussioni?

Stefano Rossi, Managing Director di Euclidea Wealth Management, ne ha discusso in un’intervista di Carla Signorile per la trasmissione Patrimoni in onda su Class CNBC.

Ricordiamo innanzitutto che cos’è il robo advisory. Sicuramente una novità che si basa sugli algoritmi e che può essere un nemico o un amico del mondo del wealth management.

Il robo advisory è normalmente identificato con la gestione passiva e ha a che fare con l’ottimizzazione di un portafoglio. In realtà, però, noi non siamo un robo advisor, ci tengo subito a dirlo. Osserviamo comunque con grande attenzione lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma noi siamo una società di gestione attiva che utilizza la tecnologia per creare dei portafogli che costano meno e performano meglio.

Se qui avesse davanti un investitore che non ha mai sentito parlare di robo advisory, come gli spiegherebbe che cos’è e in cosa consiste?

Il robo advisory consiste sostanzialmente nel far sì che l’investitore non venga gestito da un team di umani, ma venga gestito da un algoritmo creato con delle dinamiche interne mirate a far si che, a seconda dell’andamento dei mercati, possa prendere delle decisioni di investimento. È una tipologia di gestione che si sta sviluppando negli Stati Uniti e in particolare anche in Inghilterra, con lo scopo di ottimizzare la gestione di clienti troppo piccoli per essere seguiti dalle banche e da una relazione umana.

Per il mondo del wealth management, per i grandi patrimoni, può essere una strada quella del robo advisory?

Io credo che sia prematuro in questo momento, per le persone che hanno un patrimonio complesso, essere gestite passivamente. Il cliente di questo tipo è pronto invece a voler vedere, con più chiarezza, nel proprio portafoglio, sia i costi che gli strumenti utilizzati.

In effetti il robo advisory costa un po’ meno, questo dobbiamo dirlo, perché non c’è un team, è tutto standardizzato, può valere per gli Stati Uniti, così come per Singapore, l’Europa o l’Australia…

Assolutamente. Poi l’altra cosa che aggiungo è che, le automazioni che vengono da un algoritmo, non sempre ti mettono al riparo degli eventi. Sono le code, da un punto di vista statistico, il famoso tail risk, l’evento non ponderabile o anticipabile da un algoritmo. L’intelligenza artificiale, che anche noi stiamo studiando per quanto riguarda l’applicazione predittiva di alcuni comportamenti di mercato, è una strada ancora in via di sviluppo.

Immagino sia anche costosa, perché bisogna inserire molti dati dal passato. Quindi, relativamente al futuro dell’intelligenza artificiale, non c’è il rischio che l’Italia sia sempre un po’ fanalino di coda? Lei ha giustamente ricordato gli Stati Uniti, dove il mondo del robo advisory è già una realtà più che consolidata.

Si, questo è possibile. Noi però, come Euclidea, accettiamo questa sfida e quindi stiamo investendo moltissimo in tecnologia. La nostra piattaforma analizza costantemente 110mila strumenti già presenti in Italia, tra cui fondi, che noi utilizziamo solo in classe istituzionale, azioni, ETF e fondi passivi. Questi dati, se ben combinati, possono fornire buone indicazioni di come uno strumento si comporterà nel futuro, non soltanto di come si è comportato nel passato.

Quindi voi applicate l’intelligenza artificiale alla previsione del mercato?

La utilizziamo per la previsione dell’andamento degli strumenti. Com’è andato un fondo in passato e quindi come potrà performare nel futuro.

Perché in Italia siamo ancora così indietro sul fronte, sia dell’intelligenza artificiale, che del robo advisory, in confronto agli Stati Uniti, ma anche ad altri Paesi?

Intanto, la direttiva MiFID2 entra oggi, nel 2018, e obbliga tutti gli intermediari, le banche e i gestori a esplicitare tutti i costi e, quello che la gente in questo momento non conosce, è il costo dell’ingrediente. Per esempio, lei compra un fondo, sa quanto costa la gestione, se questo fondo è in gestione, ma non sa quanto è la commissione interna al fondo di cui, una parte, viene lasciata all’intermediario che propone il fondo in collocamento. Per cui la domanda è: la MiFID2 porterà più chiarezza e più curiosità sui costi del proprio portafoglio, da parte dei clienti finali? Noi riteniamo di sì.

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Oltre che i costi i clienti vorranno anche vedere le performance, vorranno ottenere qualcosa. Prima era percepito come se la consulenza non fosse a pagamento, entrava tutto nello stesso calderone, mentre adesso, soprattutto per quanto riguarda la consulenza indipendente, viene tutto esplicitato.

Esattamente. Questo secondo me è un ottimo momento per l’Italia. In America esistono da tempo delle società che uniscono la tecnologia all’elemento umano. Il cliente ha quindi la possibilità di dialogare con un esperto, ma la tecnologia che c’è dietro aiuta nell’ottimizzazione e aggregazione di tutto il portafoglio, ed è quindi necessario elaborare tanti dati restituendo – sul portafoglio allargato –elementi nuovi; non solo i costi, ma anche le performance. Ad esempio, se un fondo mi costa tanto, quel costo vale la pena sostenerlo perché performa anche molto bene, o no? Noi, con il nostro strumento di analisi, cerchiamo di analizzare entrambe le dinamiche.

Quindi si va verso un modello ibrido?

Assolutamente sì.

Ci saranno meno private banker, secondo lei, da qui ai prossimi vent’anni?

No, i private banker dovranno evolvere professionalmente con un aiuto tecnologico che, magari, in questo momento non hanno. Il private banker, o il promotore, che lavora per strutture che per loro scelta commerciale si limitano ad una sola parte dell’universo investibile, per forza di cose ai clienti possono proporre solo quella. Non è colpa del promotore, piuttosto che del private banker, ma non essendo ancora completamente aperta la possibilità di scegliere tra tutti i fondi, sarà una nuova sfida, una nuova era. Nessuno sarebbe in grado di scegliere tra 110mila strumenti, senza un supporto tecnologico, si rischierebbe di avere troppa scelta e di essere più confusi di prima.

Come se lo immagina il mondo del private banking e del wealth management nei prossimi 5, 10 anni, visti questi diversi elementi che confluiscono tra cui MiFID2, il mondo della tecnologia e dell’intelligenza artificiale?

Io mi immagino una realtà in cui c’è un banker molto esperto, che non è un venditore di prodotto già fatto da altri, ma una persona che sta accanto al cliente, si mette nei suoi panni e, in modo trasparente, gli fa vedere tutto. Ad oggi ancora la trasparenza non è propria del mondo della proposta di investimento. Sempre di più, tutte le case, si dovranno dotare di maggiori strumenti che danno la trasparenza finale al cliente perché il cliente la chiederà sempre di più. Soprattutto nei momenti in cui, per fluttuazioni di mercato, il rendimento è minimo, non è ammissibile che il gestore guadagni più di lui. Siccome la struttura delle commissioni di mercato è sostanzialmente fissa, il cliente prima o poi si indirizzerà sempre più verso delle realtà trasparenti.

 

Guarda l'intervista completa [dal minuto 33:55 al minuto 47:36].