La MIFID 2 aveva l’obiettivo di definire uno standard virtuoso nella comunicazione dei costi degli investimenti per aiutare i risparmiatori a prendere decisioni di investimento consapevoli, ma a giudicare dai risultati della ricerca della School of Management del Politecnico di Milano sulla qualità delle informative ex post a consuntivo dell’anno 2018 inviate dai 18 principali intermediari finanziari a milioni di investitori retail italiani, nel nostro Paese c’è ancora molta strada da fare in fatto di trasparenza.
Dalla ricerca si evidenzia che se l’obiettivo era creare nel risparmiatore consapevolezza di cosa paga e perché, le banche hanno fatto di tutto affinché questo obiettivo non venisse raggiunto.
Le colpe gravi delle banche sono in ordine: poca tempestività e nessuna chiarezza. Sono stati infatti inviati documenti che non contenevano solo i costi, a volte non menzionati neanche, ma tutta una serie di informazioni inutili con il chiaro intento di scoraggiare il cliente a non ricercare le informazioni sensibili. Oppure venivano usate parole incomprensibili per i clienti, come inducements per identificare i pagamenti che l’intermediario riceve da terzi per la vendita dei suoi prodotti.
Lo studio è stato condotto sulla base di tre diversi livelli di valutazione sui rendiconti del 2018: requisiti obbligatori, linee guida ESMA + best practice delle associazioni categoria e ulteriori parametri qualitativi.
Senza entrare in eccessivi dettagli, quello che risulta è alquanto imbarazzante: solo 5 banche su 18 hanno rispettato tutti i requisiti minimi.
Nello specifico, riguardo all’indicazione dell’effetto cumulativo dei costi sulla redditività dell’investimento, il 44% degli intermediari lo ha indicato in modo parziale (omettendo il dato sul rendimento e indicando il solo costo sostenuto) mentre nel 6% dei casi l’informazione è del tutto assente.
Il risultato più negativo riguarda la scarsa trasparenza nella comunicazione dei pagamenti riconosciuti da terzi: il 94% degli intermediari utilizza termini di non immediata comprensione (come inducements o incentivi) per indicare le retrocessioni su strumenti collocati o raccomandati ai propri clienti.
Un punto estremamente negativo è la tempestività dell’informazione clienti (2 report sono stati inviati a maggio 2019, 2 a giugno, 11 a luglio, 2 ad agosto e 1 addirittura a settembre).
L’aspetto più “curioso” è il fatto che molte banche hanno affogato le informazioni sui costi in moltissime pagine, per di più inutili: il 39% degli intermediari ha deciso di inserirli in documenti di 10-30 pagine, con punte fino a 45 pagine.
Come ricorda Massimo Scolari, presidente ASCOFIND, "La diluizione dei dati all’interno di corposi documenti, a volte con contenuto pubblicitario, non solo non è conforme alla normativa, ma è anche contraria al rispetto del principio di agire nell’interesse dei clienti, un dovere che accomuna tutte le imprese di investimento”, sottolinea.
Considerate che sui rendiconti Mifid Euclidea è stata la prima in Italia ad inviare ad aprile 2019 a tutti i suoi clienti tale documento con le informazioni sui costi riassunta in sole due pagine.
Abbiamo fondato Euclidea sui principi di trasparenza, indipendenza, costi chiari e contenuti verso il cliente, e siamo convinti che la Mifid 2 sarà un nostro prezioso alleato e ci aiuterà a far crescere la consapevolezza del risparmiatore italiano su quanto paga e perché.
Il trend della trasparenza sui servizi finanziari è irreversibile.